Sovescio

Il sovescio di una coltura intercalare in risicoltura rappresenta una valida possibilità di miglioramento della fertilità dei suoli, in generale compromessa dalla continua monosuccessione. Correttamente gestito, il sovescio consente un incremento produttivo del riso ed una maggiore sostenibilità economica ed ambientale.

La tecnica del sovescio

L’inserimento del sovescio nei sistemi colturali risicoli, generalmente orientati verso la monossuccessione, permette di ottenere importanti risultati dal punto di vista agronomico ed ambientale. La principale funzione è fornire elementi nutritivi al riso in successione ma anche un miglioramento complessivo della fertilità del suolo. L’utilizzo di leguminose, in quanto  azotofissatrici, consente inoltre l’apporto di azoto atmosferico al sistema oltre che una maggiore disponibilità degli elementi già presenti nel suolo. Le quantità di elementi nutritivi mobilizzati (azoto, fosforo e potassio) o apportati (azoto nelle leguminose) sono molto variabili e dipendenti direttamente dal tipo di specie impiegata e dalla quantità di biomassa prodotta. In generale, la specie di leguminosa che risulta meglio adattata ai nostri climi e ai nostri sistemi risicoli, è la veccia villosa i cui apporti di azoto vanno da 40 a 140 kg/ha. Gli elementi nutritivi apportati si traducono in un risparmio di concime.

L’apporto di sostanza organica e l’azione degli apparati radicali migliorano anche la struttura del suolo e la porosità. In ambienti di risaia, infatti, dove il suolo si trova per lunghi periodi in condizioni asfittiche, il ripristino delle condizioni di aerazione in autunno è fondamentale per ristabilire le normali condizioni di fertilità chimica, oltre a interrompere processi fermentativi della sostanza organica, spesso produttori di sostanze fitotossiche.

Tra gli aspetti negativi è necessario considerare l’eventuale produzione di composti fitotossici derivanti dalla fermentazione e l’immobilizzazione dell’azoto minerale con una riduzione momentanea della sua disponibilità per il riso, che si verifica soprattutto in presenza di biomasse caratterizzate da rapporti di Carbonio e Azoto (C/N) elevati.

Indicazioni gestionali

Il sovescio in risicoltura si inserisce nel periodo che va da fine ottobre a fine marzo-aprile. Le specie più utilizzate sono graminacee e crucifere (che principalmente limitano la lisciviazione dell’azoto nel periodo invernale) o leguminose (che apportano azoto al sistema).

La scelta dell’essenza da impiegare dipende dall’obiettivo che si vuole raggiungere. Le leguminose, in purezza o in miscuglio, sono comunque consigliate.

L’aumento dell’efficienza azotata del sistema, oltre all’apporto di azoto organico, deriva anche dalla riduzione delle perdite di lisciviazione durante il ciclo di sviluppo del riso, grazie ad una più lenta e progressiva disponibilità dell’azoto derivante dalla progressiva mineralizzazione della biomassa interrata. L’uso di specie a radice fascicolata, come le graminacee ad alta capacità strutturante (loiessa, triticale), o di specie con apparato radicale fittonante con attività decompattante, quali le brassicacee (rafano, senape e ravizzone), aiutano a migliorare e mantenere la struttura e ad aumentare la porosità del suolo, velocizzando i processi di sgrondo dell’acqua nelle fasi di asciutta.

La semina del sovescio deve essere anticipata il più possibile per garantirne la riuscita. Le tecniche vanno da una semplice distribuzione superficiale, una distribuzione con leggera lavorazione per interramento (erpicatura), fino alla semina interrata a file.

La semina su sodo (che potrebbe anche avvenire con una semplice distribuzione a spaglio dei semi sulle paglie di riso appena raccolto) rappresenta la tecnica più economica ma richiede una attenta distribuzione dei residui colturali in superficie, evitando mucchi. È interessante la distribuzione del seme già al momento della raccolta del riso, montando gli organi di distribuzione direttamente sulla mietitrebbia. In suoli pesanti o per specie particolarmente esigenti come le brassicacee, ricorrere ad un passaggio con erpice prima della semina, può velocizzare l’emergenza e lo sviluppo del sovescio.

Il momento e le modalità di terminazione del sovescio devono essere anch’esse adeguatamente scelte. Un adeguato quantitativo di biomassa in campo e il rispetto delle tempistiche per la semina del riso sono l’obbiettivo. Terminazioni troppo anticipate con poca biomassa in campo rendono la pratica inutile. La terminazione del sovescio si esegue tradizionalmente con una trinciatura della biomassa superficiale successivamente interrata con arature e/o erpicature. Se la biomassa non è abbondante, si può procedere direttamente con le operazioni di interramento e preparazione del letto di semina.

Approfondimento: L’architettura radicale e sovescio di specie leguminose

Il sovescio di leguminose induce variazioni sostanziali nelle caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche del suolo, nonché nella presenza di specifici ceppi endofitici nella radice. La scelta di cultivar di riso coltivate in successione al sovescio con apparati radicali dotati di architetture più idonee alle condizioni edafiche imposte dal sovescio è essenziale per l’efficienza complessiva di questa agrotecnica.  Le azioni dimostrative in programma sono volte a illustrare sperimentalmente tale aspetto. Esse consistono in approcci di shovelomics, che combinano tecniche di analisi d’immagine degli apparati radicali di cultivar diverse escavati dal suolo a profondità variabili. Saranno quindi mostrate le relazioni esistenti tra l’efficienza d’uso dell’azoto e l’architettura dell’apparato radicale, risultante dalle interazioni tra genotipo e disponibilità spazio-temporale delle diverse forme del nutriente apportate dal sovescio e/o dalle integrazioni con fertilizzanti di sintesi.

L’effetto del sovescio con specie leguminose sul microbioma del suolo e della rizosfera, nonché sulla presenza di specifici ceppi endofitici nella radice delle stesse piante di riso sarà mostrato tramite approcci metagenomici (Figura 1). Particolare risalto verrà dato alle specie dominanti del ciclo biogeochimico dell’azoto: i) nei suoli al termine della crescita delle leguminose, immediatamente prima del loro interramento e della semina del riso; ii) nella rizosfera del riso; iii) nelle radici delle piante di riso. Anche in questo caso verranno evidenziate le relazioni esistenti, nella coltura del riso, tra struttura dei diversi microbiomi ed efficienza d’uso dell’azoto.

Figura 1: Identificazione del microbioma rizosferico e endofitico

Figura 1: Identificazione del microbioma rizosferico e endofitico

Nelle azioni dimostrative sarà illustrato come lo stato nutrizionale azotato delle piante di riso nelle prime fasi del loro sviluppo vegetativo e quindi l’efficienza d‘uso dell’azoto fornito con il sovescio e/o le integrazioni con fertilizzanti di sintesi, può essere stabilito ricorrendo alla definizione dell’insieme dei profili di espressione di specifici geni (Figura 2) messo a confronto con la crescita e con i risultati di analisi chimiche tradizionali per la definizione dei livelli di N nei germogli, nonché valutando l’indice NBI® (Nitrogen Balance Index) con l’uso del sensore ottico Dualex®.

Figura 2: Relazione tra contenuti in N di germogli di riso e livelli di espressione di geni specifici

Figura 2: Relazione tra contenuti in N di germogli di riso e livelli di espressione di geni specifici

Primi risultati

Il progetto Ristec considera i risultati agronomici di alcune tra le diverse modalità di epoche di semina e terminazione di sovesci e tipi diversi di leguminose o altre specie consociate, ottenuti in siti sperimentali situati nelle principali aree risicole. Le varie possibili combinazioni sono utili a definire l’efficienza delle diverse tecniche e consentire agli agricoltori e ai tecnici di operare scelte oculate e più opportune.

Le attività del progetto valutano e dimostrano:

  1. gli effetti del sovescio, in particolare di veccia, sulla produttività del riso e sull’efficienza d’uso dell’azoto;
  2. gli effetti sulla fertilità del suolo;
  3. il vigore delle colture da sovescio e la quantificazione di biomassa e azoto derivante dal sovescio nel momento dell’interramento attraverso l’uso degli indici vegetazionali;
  4. lo sviluppo dell’apparato radicale del riso in successione e l’aumento della fertilità microbiologica nella zona limitrofa alle radici.

Presso un sito sperimentale situato nel comune di Nicorvo, a partire dall’autunno del 2016, si svolge un’attività che prevede il confronto fra due sistemi in monosuccessione di riso, uno gestito con sovescio di veccia villosa, seminata direttamente sulle stoppie, e uno senza sovescio (testimone). Contemporaneamente, su entrambi i sistemi, è stata allestita una prova di concimazione azotata utilizzando quattro diverse dosi del macronutriente: 0, 80, 120 e 160 kg/ha di azoto ureico, distribuito alla semina e alla fase di differenziazione della pannocchia.

Le produzioni di biomassa di veccia raggiunte nel 2017 sono state in media 5 t/ha di sostanza secca. Nella figura 3 si riportano le quantità di azoto misurate ed eventualmente apportate con il sovescio in funzione delle diverse quantità di biomassa prodotta. L’elevata correlazione esistente tra biomassa e apporti, avvalora l’ipotesi di individuare facilmente gli apporti azotati rilevando direttamente le quantità di biomassa prodotte anche attraverso valutazioni indirette fatte con indici vegetazionali quali NDVI (Normalized Difference Vegetation Index). Tali indicatori, se opportunamente calibrati sulla specifica coltura, possono riferire facilmente e con precisione i dati produttivi di biomassa e i correlati apporti azotati utilizzando sensori di rilevamento manuali come GreenSeeker e Rapid Scan. I primi risultati della calibrazione sono riportati in figura 4. Il primo limite presentato da questo metodo operativo è un repentino raggiungimento di saturazione dell’indice che non evidenzia ulteriori incrementi di valore oltre i 1500 kg/ha di sostanza secca, corrispondenti a circa 50 kg/ha di azoto.

La risposta produttiva del riso all’interramento della biomassa di sovescio nel sito di Nicorvo è risultata molto positiva. La produzione media del sistema con veccia (9.0 t/ha di sostanza secca) è risultata significativamente superiore del sistema senza veccia (7.5 t/ha) a prescindere dal livello di concimazione effettuata. La Dose Tecnica Ottimale (DTO) di fertilizzante minerale, cioè la massima produzione ottenibile con il minimo apporto di concime minerale, è risultata 120 kg/ha di azoto minerale, sia nel sistema con veccia sia nel sistema senza veccia (figura 5).

Confrontando le quattro gestioni della concimazione minerale e utilizzando anche i dati del 2016 è stata determinata l’efficienza dell’azoto apportato con la veccia (figura 6). Quando la concimazione minerale viene eseguita intorno alla DTO i valori dell’azoto organico, maggiormente derivanti dall’apporto di biomassa della veccia, raggiungono il loro massimo. Questo risultato è molto evidente nel secondo anno indicando un certo effetto cumulativo della fertilità azotata del suolo.

Figura 3: Apporti di azoto correlati con le quantità di biomassa di veccia apportata per il 2017

Figura 3: Apporti di azoto correlati con le quantità di biomassa di veccia apportata per il 2017

Figura 4: Dati calibrazione indice vegetazionale NDVI e produzione di biomassa di veccia espressi in biomassa verde; sotto la correlazione tra lo stesso indice e gli apporti di azoto

Figura 5: Risposta produttiva media del riso nel 2017 e nei due sistemi con e senza apporto di veccia

Figura 6: Efficienza dell’azoto derivante dalla veccia confrontando gli anni 2016 e 2017

Per saperne di più

APPROFONDIMENTI

FAQ

A proposito di sovescio:

Quali limitazioni impone alla tecnica colturale del riso?